Intervista alla Dott.ssa Annette Wilhelmina Corraro: un viaggio tra bioetica e ricerca clinica

Intervista alla Dott.ssa Annette Wilhelmina Corraro: un viaggio tra bioetica e ricerca clinica

Abbiamo avuto il piacere di conversare con Annette Corraro, ex-studentessa del Master in Bioetica per le Sperimentazioni Cliniche e i Comitati Etici offerto dalla Università Politecnica delle Marche in collaborazione con la Fondazione Universitaria Iberoamericana FUNIBER. Insieme a lei abbiamo ripercorso le tappe che l’hanno portata alla realizzazione dell’eccellente tesi presentata nel luglio scorso presso l’ateneo marchigiano.

Annette Wilhelmina Corraro, originaria di Vigevano ma con radici olandesi, è una mente eclettica che ha saputo coniugare con successo le sue passioni per l’antropologia, la sociologia e le scienze biomediche. Dopo un percorso di studi incentrato sull’analisi dei fenomeni sociali, con una laurea triennale in Antropologia Culturale e Sociologia dello Sviluppo presso l’Università di Leiden e un Honors Program ad indirizzo politico presso il College The Hague (entrambi nei Paesi Bassi), la dott.ssa Corraro ha anche ottenuto un diploma in consulenza scientifica del benessere per poi approfondire la sua formazione con il Master in Bioetica dell’Università Politecnica delle Marche. La sua tesi di master, incentrata sull’indipendenza della ricerca e sugli psicofarmaci, le ha valso il massimo dei voti e il plauso della commissione esaminatrice. Oggi, come assistente di ricerca all’Istituto Mario Negri e collaboratrice de La Tartavela (un’associazione di familiari di persone con disagio psichico), Annette continua a dedicarsi con passione all’esplorazione delle complesse interazioni tra scienza, società e individuo.

Nel corso della nostra conversazione, la dott.ssa Corraro ha condiviso dettagli significativi sulla sua esperienza. Da bambina, sognava di avere un impatto positivo sul mondo e di scoprire nuove culture. “Ho sempre desiderato poter fare qualcosa di utile per questo pianeta e gli esseri viventi che lo popolano, così come viaggiare, vedere più posti possibili e conoscerne le diverse culture” racconta. Questa aspirazione l’ha guidata verso la bioetica, un campo che le ha permesso di integrare le sue passioni con una formazione specializzata.

Annette, che solitamente ama dedicare il suo tempo libero alla natura o allo sport, ha accettato di rispondere alle nostre domande e lo ha fatto in modo generoso e sincero, a cominciare dal corso post-laurea che ha scelto di frequentare.

Dott.ssa Corraro, cosa l’ha spinta a iscriversi a questo master?

“Molto semplicemente rispecchiava qualcosa che avevo dentro. Sono una persona fortemente ancorata a principi e valori che cerco di applicare nel quotidiano, e mi interrogo sempre su cosa sia la cosa migliore da fare in diversi contesti. Essendo poi anche interessata alla medicina e alla questione delle sperimentazioni cliniche e produzione/assunzione di farmaci, ho trovato nel master il connubio perfetto.”


Quali aspetti del corso ha trovato più stimolanti e gratificanti?

Ho apprezzato molto l’autonomia nel gestire i vari moduli in quanto mi ha permesso di organizzarmi e dedicarmi a più cose contemporaneamente. Credo che lasciare molta autonomia permetta di capire se si è davvero interessati ad un percorso. Ho apprezzato molto gli approfondimenti su diversi temi in forma di appendici per poter andare nel dettaglio dei dibattiti in bioetica”.

C’è un modulo o argomento in particolare che ha trovato interessante o utile più di altri?

Gli aspetti più significativi sono stati la parte dedicata alla nascita della bioetica e dei suoi principi (che avevo già affrontato in parte in un corso universitario, ma che qui è stato approfondito) e quella dedicata alle fasi della sperimentazione clinica. Mi ha sorpreso e fatto piacere trovare un modulo sull’indipendenza della ricerca che avevo già in mente di approfondire nella tesi prima di trovare il modulo dedicato, perché è un tema rilevante ma poco discusso”.

Nonostante l’approccio approfondito e tecnico del corso, Annette afferma di non aver riscontrato particolari difficoltà. “Tuttavia”, ammette, “Ho dovuto approfondire meglio il modulo ‘Aspetti Biostatistici e Valutazione Critica di una Ricerca’, per quanto riguarda le parti più tecniche, aiutandomi anche con del materiale usato durante il bachelor”.

In che modo il supporto del tutor e della segreteria studenti FUNIBER ha influenzato la sua esperienza di apprendimento?

“Il personale della FUNIBER ha sempre risposto prontamente ed in modo esaustivo a tutte le mie domande, permettendo un percorso senza problemi di attesa o informazioni insufficienti. La mia tutor è stata di grande supporto ed interesse verso il mio percorso fin dall’inizio, ad esempio essendo chiara nelle spiegazioni e proponendo materiale da integrare nella tesi, così come incoraggiandomi nell’argomento che volevo portare”.

A proposito della tesi finale, “L’indipendenza della ricerca e il caso degli psicofarmaci: un’analisi bioetica”, la sua tutor, la dott.ssa Luisa Borgia, era così entusiasta del suo lavoro da averle proposto di adattarlo come appendice per uno dei moduli del master. Può spiegare perché ha scelto di concentrarsi sulla ricerca clinica sugli psicofarmaci?

Sono entrata a contatto con il mondo della psichiatria quando avevo circa 7-8 anni per via di un famigliare (e direi anche proprio un ramo della famiglia) che ha iniziato a sviluppare disagio mentale. Negli anni ho visto continui ricoveri, ho cercato di parlare con psichiatri per capire di più su quello che stava succedendo (venendomi spesso preclusa la possibilità, anche perché in molti casi non ero ancora maggiorenne e quindi non potevo accompagnare alle visite), ho visto continui cambi di terapia con enormi effetti collaterali e senza un vero interessamento verso le vere cause del malessere di questa persona.
Come spesso accade, quando sta male una figura prossima di riferimento, si sviluppano difficoltà anche a livello personale. Per gestire i miei problemi (con diagnosi di anoressia, depressione e DOC) ho deciso di intraprendere un percorso diverso da quello che avevo visto fino a quel momento, guarendo e imparando a gestire e conoscere il mio modo di essere. Nel mentre ho approfondito (a livello scolastico e personale) le tematiche del disturbo e/o malattia mentale, delle diverse terapie, del loro funzionamento, e del perché molte persone non sembrano avere miglioramenti con le terapie farmacologiche, ma anzi peggiorano. Ho così poi deciso di approfondire il tema portandolo anche come argomento della tesi, perché di base ci sono molte cose che non funzionano, e troppa fretta a risolvere in modo semplicistico dei problemi che sono radicati nell’essere della persona, nella visione del loro mondo interiore e di quello esterno
”.

Si tratta di un campo spesso controverso al quale è approdata spinta dalle proprie esperienze personali. Ma cosa significa per lei “indipendenza della ricerca” e quali sono i principali problemi che ha riscontrato in questo campo?

La ricerca è la culla del sapere, il luogo in cui si genera la conoscenza che andrà ad influenzare e plasmare la società e la vita delle persone in un’infinità di ramificazioni. Per me è impensabile che ci siano altri interessi, oltre a quelli di permettere lo sviluppo dell’umanità, a determinare l’andamento della ricerca, come il guadagno economico, l’interesse politico e l’ambizione personale. Indipendenza della ricerca vuol dire quindi lavorare nell’interesse delle persone e della loro salute”.

Ci sono diversi problemi che minano l’indipendenza”, continua la dott.ssa Corraro.”Per fare alcuni esempi:

  • I bias, ovvero influenze e/o distorsioni che determinano lo sviluppo di uno studio. A volte sono involontari, ma a volte sono funzionali a determinati obiettivi. Ad esempio, se si seleziona un campione molto piccolo, sarà più facile trovare dei risultati positivi nelle analisi statistiche, ma non saranno risultati attendibili perché il campione non è rappresentativo, e perché un campione più ampio (come dovrebbe essere) avrebbe potuto portare risultati diversi. Altre influenze possono interrompere gli studi prematuramente, perché si sono ottenuti risultati interessanti (ma che avrebbero necessitato della fine dello studio per essere confermati). Spesso questi risultati positivi sono richiesti dalle aziende farmaceutiche che stanno studiando un farmaco per poterlo immettere nel mercato, influenzando così le modalità di uno studio e minando così la sua indipendenza.
  • Il fenomeno del ghostwritng, ovvero scrittori medici professionisti che si occupano della stesura parziale o totale dell’articolo da pubblicare, il cui nome verrà tenuto nascosto e sostituito con quello di un medico influente. Questo meccanismo permette ad alcune figure di eccellere come esperti, in quanto apparentemente hanno un alto tasso di pubblicazioni, sfruttando il mondo della ricerca e della pubblicazione per ambizioni personali.
  • Il circolo vizioso del pay-to-publish/publish-or-perish. Da qualche tempo i costi per la pubblicazione sono diventati proibitivi (con la nascita dell’open access), che uniti alla richiesta di un alto numero di pubblicazioni per mantenere una buona posizione nel mondo della ricerca, ha creato diversi problemi. In linea generale, pubblica chi può permetterselo, escludendo ricerche potenzialmente illuminanti solo perché gli autori non hanno le possibilità economiche per pubblicare (soprattutto per i ricercatori nei paesi in via di sviluppo), favorendo una minoranza e non permettendo uno scambio alla pari di conoscenze. Inoltre, la richiesta di un numero alto di pubblicazioni favorisce la quantità rispetto alla qualità, portando spesso alla creazione di articoli molto simili (e quindi senza grossi contributi, perché richiederebbe tempo impostare uno studio totalmente nuovo e approfondito), e rendendo più facile l’errore e l’inosservanza di alcune fasi dello studio, in nome di una posizione o di un interesse economico.

Questi fenomeni”, spiega, “sono spesso intrecciati, e dipendenti l’uno dall’altro, nonché ben nascosti e poco conosciuti soprattutto al di fuori del mondo della ricerca. Ovviamente gli studi clinici non sono tutti così, ma il fatto che una fetta della ricerca è funzionale a produrre risultati positivi ad hoc per favorire il commercio di alcuni farmaci, così come per raggiungere obiettivi diversi rispetto alla tutela della salute delle persone, è indice che le cose devono cambiare per non fare diventare la ricerca un luogo dove tutto è concesso”.

Può fare qualche esempio di come la ricerca sugli psicofarmaci possa essere influenzata da interessi esterni?

Per quanto riguarda la ricerca sugli psicofarmaci in senso stretto, sono applicabili gli esempi discussi prima, ovvero influenze che vanno al di là dell’interesse della persona che si manifestano in diversi meccanismi (nel caso degli psicofarmaci anche di un’omissione di effetti collaterali).
Per quanto riguarda la psichiatria, e quindi la ricerca sugli psicofarmaci, bisogna fare qualche passo indietro se si vuole parlare di influenze esterne (ovviamente citando solo alcuni aspetti di un campo ampio e complesso). Pur non escludendo fattori biologici e genetici nell’insorgere dei disturbi mentali, bisogna però mettere in discussione il dominante impianto biologico e deterministico che guida la diagnosi e l’interpretazione di questi disturbi.
In primis, bisogna affrontare il problema della diagnosi, e l’equiparazione dei disturbi fisici con quelli mentali. Mentre per i disturbi fisici si fanno una serie di esami prima di fare una diagnosi (come ad esempio ecografie, esami del sangue, risonanze magnetiche e così via), e si cercano dati oggettivi per poter avere un quadro completo, nel caso dei disturbi mentali non viene fatto nessun esame chimico-fisico per poter diagnosticare un disturbo. La diagnosi viene fatta tramite uno scambio tra paziente e psichiatra, dove il paziente espone tutta una serie di sintomi (come manifestazioni emotive e mentali), che lo psichiatra riconosce come anormali sulla base dei manuali diagnostici, e che per conseguenza logica portano ad una diagnosi (se il paziente ha tot sintomi, allora ha questo disturbo). Questo rende già difficile la spiegazione dei disturbi mentali come organici se non si possono effettuare test diagnostici.

Anche diversi studi (seppure con le loro limitazioni) stanno mettendo in discussione il paradigma biologico, come una metanalisi del 2022 che ha mostrato come la teoria dello squilibrio chimico (la quale sostiene che la depressione sia causata da squilibri nella produzione della serotonina) non è in realtà scientificamente solida, così come non ci sono ad esempio ancora markers specifici per individuare l’adhd. Anche ammettendo un’origine organica dei disturbi mentali, che magari non è stata ancora individuata e compresa bene, bisogna domandarsi se le spiegazioni biologiche sono cause o manifestazione. Ovvero, come si sta finalmente discutendo da qualche tempo, i disturbi mentali sono anche dovuti, oltre all’aspetto dei meccanismi psicologici già maggiormente discussi, anche a questioni sociali, economiche, di mancanza di senso della vita, soprattutto nella nostra società odierna. L’aspetto biologico potrebbe essere il mediatore di questi fenomeni che influenzano la nostra salute mentale, e quindi se si dovessero manifestare squilibri chimici direttamente collegabili a disturbi mentali, prima di trattarli senza contesto, bisognerebbe capire i motivi alla base e trattare in primis quelli”.

Quello che vorrei principalmente comunicare”, conclude, “è che la spiegazione organicista e deterministica dei disturbi mentali non è esaustiva e spesso scorretta, così come numerose sono le influenze e gli interessi in questo campo”. 

In che modo i diritti delle persone con problemi di salute mentale possono essere violati o protetti nella ricerca sugli psicofarmaci?

Il problema di una ricerca sperimentale non attenta ed influenzata da altri interessi (come è successo in vari casi in passato, ma che succede tuttora) non permette di ottenere dati molto attendibili, risultati su cui si basano però le prescrizioni degli psicofarmaci. Questo ha un effetto a catena sulla violazione dei diritti delle persone con problemi di salute mentale. Ad esempio, se le informazioni date ai pazienti sugli psicofarmaci e sui loro effetti collaterali non sono sempre trasparenti e corrette (anche per involontarietà dei medici che si basano sugli studi a cui danno fiducia), questo non permette una tutela della salute dei pazienti, così come una loro possibilità di scelta senza influenze esterne.

Il problema grosso degli psicofarmaci è che in alcune ricerche sono stati omessi gli effetti collaterali, così come la difficoltà a sospenderli in quanto si può sviluppare una dipendenza ai loro principi attivi, rischiando di creare danni permanenti, e quindi non permettendo di perseguire uno stato di benessere. Promuovere una ricerca trasparente ed indipendente, in primis sull’eventuale origine biologica dei disturbi mentale e poi sugli psicofarmaci, e comunicando efficacemente ciò che è stato trovato, permette ai medici di avere una visione reale del fenomeno e quindi di conseguenza modulare la prescrizione di psicofarmaci in virtù di una tutela dei diritti dei pazienti
“.

Come pensa che i risultati del suo lavoro possano influenzare il futuro della ricerca sugli psicofarmaci e il trattamento delle persone con problemi di salute mentale?

Spero che l’analisi bioetica fatta in questa tesi permetta di stimolare la riflessione sul piano umano. I problemi all’interno della ricerca, infatti, non si fermano a questioni metodologiche e cliniche, ma in primis umane, perché siamo tutti possibili consumatori di farmaci ed è necessario che la ricerca sia trasparente e solida. Il mio lavoro non ha discusso in particolare le varie origini dei disturbi mentali, ma ho accennato alle diverse fasi ed interpretazioni che ci sono state e ci sono di esse, sia a livello storico che nelle diverse culture attualmente.
Mi piacerebbe che questo lavoro contribuisse in qualche modo ad una riflessione più diffusa di questo tema, che sta già entrando da qualche tempo a questa parte nei vari dibattiti più che altro tra chi è nel settore, e soprattutto grazie alla voce degli utenti che si sta facendo sentire, e che richiedono una maggiore attenzione alla loro condizione e ascolto verso le loro proposte ed esperienze
”.


Ha delle proposte su come migliorare l’indipendenza della ricerca clinica?

Leggendo spesso la realtà con una lente antropologica, io credo che coinvolgere la cittadinanza sia fondamentale. Oltre agli interventi dall’alto procedurali ed istituzionali, come ad esempio il nuovo Regolamento Europeo 536/2014, io credo che si dovrebbe avere anche un quadro d’insieme a livello sociale. In altre parole, comprendere fino a che punto la popolazione sia consapevole di questi problemi, e cosa pensano delle istituzioni che si occupano di salute. Renderla consapevole di questi meccanismi non è un modo per creare allarmismo e diffidenza, ma anzi, mostrare ancora di più quanto utile, impegnativa e indispensabile è la ricerca sperimentale fatta bene, e che non ci deve essere spazio per altri interessi.
Chiaramente è un tema difficile e apparentemente lontano, quindi far interessare le persone rappresenta una sfida, ma credo anche che sempre di più (e in particolare i giovani) le persone stiano lottando per i diritti, trasparenza, e cooperazione nei vari settori della vita, e questo deve essere uno di quelli. Sarebbe interessante declinare in qualche modo il tema in attività di Citizen science per coinvolgere la cittadinanza non solo a livello teorico ma anche pratico. Il punto, comunque, che ritengo possa contribuire (anche se non in modo esaustivo chiaramente) è creare un ponte tra la ricerca clinica e la cittadinanza, abbattendo le pareti della torre d’avorio
”.


Come ha influenzato il suo percorso accademico e personale il lavoro su questa tesi?

Io credo che il lavoro su questa tesi mi abbia influenzato principalmente a livello personale. Ovviamente, come ho spiegato in una domanda precedente, il rapporto negativo che si è creato e cronicizzato negli anni col mondo della psichiatria rischia spesso di essere una lente di lettura difficile da ammorbidire.
Andando più a fondo nelle ricerche, e mettendole insieme in modo coerente all’interno della tesi, così come il continuo confronto che ho con le persone, sia a me vicine che non, che hanno fatto uso o usano psicofarmaci, mi ha permesso di comprendere alcune sfumature. Nonostante i problemi legati alla ricerca sugli psicofarmaci, che mostrano come spesso non siano efficienti e anzi abbiano numerosi effetti collaterali, non si può negare che per molte persone si sono dimostrati un valido aiuto per migliorare la loro condizione (solitamente se usati per brevi periodi e solo come stampella e non come terapia).

Questo apre tutta una serie di domande bioetiche che mi pongo e a cui cercherò di dare una risposta anche solo in modo approssimativo nel mio quotidiano (anche sarebbe bello poter approfondire in qualche modo). Infatti, ci si può chiedere come comportarsi se nonostante tutto alcuni psicofarmaci sembrano avere degli effetti benefici su alcune persone, o se le ricerche attuali siano sufficienti per prospettare una globale de-prescrizione. Bisogna continuare a prescrivere anche se non ci sono solide basi scientifiche, sperando che nel mentre vengano fuori altri risultati positivi da ricerche cliniche effettuate correttamente? E se non dovessero esserci, bisogna considerarlo come un effetto placebo? E come gestire gli effetti avversi? Insomma, il problema etico non si ferma a quello che ho affrontato in questa tesi, ma prende delle diramazioni che necessitano di dibattito, studio, e decisioni”

Ora che ha alle spalle questa importante esperienza accademica, cosa pensa di fare? Ha pianificato ulteriori studi o cambiamenti nella sua carriera?

Avendo appena iniziato un nuovo lavoro per ora ho intenzione di proseguire all’Istituto Mario Negri, che offre a volte anche occasioni di formazione interessanti. Mi piacerebbe molto continuare nell’ambito della ricerca (che era fin da subito il mio obiettivo) magari collaborando con istituti all’estero, studiando i sistemi di cura nelle culture diverse da quelle occidentali, in particolare per quanto riguarda la salute mentale”.


Quali consigli darebbe ad altri studenti che stanno considerando l’iscrizione a questo corso?

Il mio consiglio è di prendere questo master non solo come un obiettivo da raggiungere a livello di studi, ma come strumento trasversale da utilizzare in diversi ambiti lavorativi e personali. La riflessione (bio)etica è importante nel nostro quotidiano”.

Siamo arrivati alla fine di questa bella ed interessante intervista, ma ci piacerebbe continuare a seguirla. E’ attiva sui social?

Sì, sono attiva un paio di social. Linkedin è la piattaforma perfetta in questo caso: mi trovate come Annette Corraro o digitando “linkedin.com/in/annettewcorraro”.